IL VINO TRA TRADIZIONE, INNOVAZIONE E SEMPLICITÀ.

IL VINO TRA TRADIZIONE, INNOVAZIONE E SEMPLICITÀ.

Accomunati dalla stessa volontà di una viticoltura attenta all’ambiente e al consumatore, e con l’idea di trasferire nel vino l’identità del vigneto in maniera più semplice possibile, i vignaioli biologici, biodinamici e naturali si differenziano per diversi aspetti. Vediamo le peculiarità di ognuno.

Vino biologico, vino biodinamico e vino naturale.
In comune condividono la volontà dei produttori di avere un occhio di riguardo per il territorio, l’ambiente e il mercato, che per trend o filosofia, è sempre più attento e consapevole nell’acquisto e nel consumo.
Se non si è addetti ai lavori risulta ostico capire esattamente cosa si beve, come il vino è stato prodotto e quali si sono le differenze tra i vari metodi produttivi.
Di seguito alcune linee guida per capire le differenze di massima tra le varie tipologie, orgogliosamente identificate anche dagli stessi produttori.

Andiamo per gradi.
Partiamo con il definire cosa s’intende per vino biologico.
Legato indissolubilmente al modello di sostenibilità ambientale dell’agricoltura biologica, il disciplinare prevede restrizioni e regolamenti da rispettare rigorosamente sia in vigna che in cantina.
In primo luogo sono vietati la concentrazione parziale a freddo, l’eliminazione dell’anidride solforosa con procedimenti fisici, il trattamento per elettrodialisi per garantire la stabilizzazione tartarica del vino, la dealcolizzazione parziale dei vini e il trattamento con scambiatori di cationi per garantire la stabilizzazione tartarica del vino.
Mettendo da parte i tecnicismi e i processi produttivi, parliamo delle sostanze che il disciplinare autorizza in cantina: tra quelle maggiormente conosciute troviamo l’ossigeno, i lieviti, la gelatina alimentare, la colla di pesce, l’albumina, la caseina, i tannini e l’ossigeno.
A parte dobbiamo spendere due parole sull’anidride solforosa, ammessa in quantità diverse a seconda che si tratti di vino bianco o rosso e in base al residuo zuccherino; inoltre esistono parametri che fanno la differenza nell’uso di questa sostanza, come le malattie delle piante o le aree geografiche di produzione.

Proseguendo nel tentativo di definire il carattere “bio” del vino, è il momento di parlare di vino biodinamico, precisando che la sua produzione risponde alle leggi dell’agricoltura biodinamica per la quale l’unico credo è il rispetto tout court della natura.
Alla base di questa concezione ci sono gli studi di Rudolf Steiner e di Maria Thun, i quali li avevano portati alla convinzione che tutti i processi e le operazioni in vigneto e in cantina dovessero tenere in considerazione i ritmi del sole, delle stelle, della luna e dei pianeti.
Un esempio? Un vignaiolo biodinamico poterà la vigna o impianterà nuove vite solo con la luna calante, utilizzerà prodotti fertilizzanti o trattamenti, chiamate “preparazioni”, dove ingredienti diversi vengono inseriti in un corno di bue che verrà sotterrato per mesi prima di poter essere utilizzato.
La viticoltura biodinamica non sottende ad un disciplinare e questa è la prima grande differenza con la produzione biologica; la filosofia biodinamica risponde solamente al ciclo della natura, alle fasi lunari e all’uso di preparati solo di origine naturale.
Anche in questo caso l’anidride solforosa è concessa ma in quantità minori rispetto alla certificazione biologica.

Ed eccoci arrivati a parlare del vino definito naturale e ad identificarne i caratteri.
Anche in questo caso non esistono normative, i regolamenti scritti sono da attribuire alle associazioni di vignaioli che nel tempo sono nate per dare autorevolezza a questa tipologia, tra le più conosciute in Italia ad esempio VinNatur e Consorzio ViniVeri.
L’orientamento si definisce attraverso l’utilizzo di concimi organici, l’uso limitato di prodotti di zolfo e rame, l’utilizzo di prodotti di derivazione naturale a residuo zero, l’irrigazione esclusivamente a goccia, la vendemmia manuale e la coltivazione di vitigni resistenti, ovvero non modificati geneticamente.
Per quanto riguarda i processi in cantina, la regole da seguire per una produzione riconosciuta naturale sono: fermentazione spontanea ed uso di lieviti indigeni, possibilità di modificare la temperatura del mosto per necessità fermentative, uso di aria, ossigeno, anidride carbonica e filtrazioni con strumenti che presentino pori tra i 5 e i 10 micron a seconda della tipologia di vino.
Anche per la viticoltura naturale è previsto l’uso della solforosa che però in questo caso scende notevolmente nei parametri di utilizzo.

Se il concetto di vino naturale non fosse ancora del tutto chiaro, riporto dal sito di VinNatur lo scopo dell’associazione che definisce in modo efficace cosa s’intende per naturale sotto diversi aspetti: “produrre vino naturale significa agire nel pieno rispetto del territorio, della vite e dei cicli naturali, limitando attraverso la sperimentazione, l’utilizzo di agenti invasivi e tossici di natura chimica e tecnologica in genere, dapprima in vigna e successivamente in cantina”.

Naturale fa rima con ancestrale e parlare di vino in questo contesto significa aprire uno scenario magico ed affascinante che divide le opinioni di molti, ma questa, è tutta un’altra storia.

Matilde Morselli
29 gennaio 2022